anteprime queer / 22 marzo 2019
La vita solitaria e monotona della sessantenne Liliane Cheverny, guarnitrice per un’azienda che produce pâté, cambia improvvisamente il suo percorso nel momento in cui il ventenne Jean mette piede nella fabbrica. Invaghita del ragazzo, che la riconosce come un’ex cantante caduta in disgrazia, famosa trent’anni prima con il nome d’arte di Laura, un’inizialmente reticente Liliane accetta di tornare a calcare il palcoscenico. La love story ritratta da Bavo Defurne ci mostra una parabola di vita fatta di ascese e rovinose cadute, e fino all’ultimo istante non concede allo spettatore il privilegio di sapere con quale delle due finiranno le vicissitudini della protagonista.
The lonely and monotonous life of sixty-year-old Liliane Cheverny, a trimmer in a company that produces pâté, suddenly changes its path when twenty-year-old Jean sets foot in the factory. Infatuated with the boy, who recognizes her as a former disgraced singer who had been popular thirty years back by the stage name of Laura, Liliane, reticent at first, endorses the idea of getting back on stage. The love story depicted by Bavo Defurne shows us a parable of life made of ascents and ruinous falls that, up until the very last moment, does not grant the viewer the privilege of knowing with which of the two, whether ascents or falls, Liliane’s misadventures will end.
anteprime queer / 22 marzo 2019
Ne I racconti dell’orso assistiamo al viaggio surreale per lande selvagge di un monaco meccanico e di uno strano ometto rosso. I due si inseguono e si ritrovano, vagando in una terra senza esseri umani e intrattenendo scambi e conversazioni con reticenti alci, alberi e statue. Quando troveranno il pupazzo di un orso rotto, faranno di tutto per riportarlo in vita. Seguendo l’onirico vagabondare dei due teneri e strampalati protagonisti, lo spettatore si perde in un sogno, all’interno del quale le emozioni basiche tanto vicine all’infanzia come l’amicizia, la solitudine, la malinconia o la gioia del gioco hanno il sopravvento sulla fredda razionalità della vita quotidiana.
In we witness the surreal journey into the wilderness of a mechanic monk and a strange little red man. The two chase and find each other, wandering in a land without human beings and having conversations with reticent elks, trees and statues. When they suddenly find the puppet of a broken bear, they do anything to bring it back to life. Following the dreamlike wandering of these two tender and odd characters, the viewer is lost in a dream within which basic childhood emotions such as friendship, loneliness, melancholy or joy of playing overtake the cold rationality of everyday life.
anteprime queer / 22 marzo 2019
Dopo aver seguito il vagabondare tragicomico dei protagonisti di Tangerine per i sobborghi californiani, con Un sogno chiamato Florida il regista Sean Baker poggia lo sguardo su un’altra realtà in movimento perpetuo, ossia quella dell’infanzia e degli inesauribili giochi della protagonista Moonee e dei suoi compagni di malefatte Jancey e Scooty. Nella surreale realtà del Magic Castle, una sorta di rivisitazione decadente del vicino castello di Walt Disney World, Moonee e sua madre Halee, ex ballerina disoccupata, si arrabattano per pagare l’affitto, ma la bambina non sembra rendersi conto delle difficoltà che la circondano.
After having chased through the Californian suburbs the tragicomic wandering of the main characters of Tangerine, with The Florida Project director Sean Baker takes an interest in another reality in perpetual movement, i.e., the childhood and the inexhaustible games of main character Moonee and her partners in crime Jancey and Scooty. In the surreal reality of Magic Castle, a sort of decaying reinterpretation of the nearby Walt Disney World Castle, Moonee and her mother Halee, a former dancer now unemployed, are struggling to pay rent, but the child does not seem to realize the difficulties that surround her.
anteprime queer / 22 marzo 2019
Il ritorno alla regia di Ado Arrietta è una fiaba che prende la forma di un gioco, oltre a essere un elogio al cinema e alla sua capacità magica e immaginifica di trasmutazione del tempo. Il principe Egon di Letonia, un giovane dandy dedito unicamente alla sua batteria, è ossessionato dall’idea di poter risvegliare dal suo lungo sonno la Bella Addormentata. Aiutato dalla fata Gwendoline e dal suo precettore Gérard, Egon attraverserà il bosco incantato che circonda il regno, dove la principessa e tutto il suo reame sono immersi in un sonno che li sospende nel passato. Seguendo la grazia e la levità delle danze che si ripetono in più scene del film, Arrietta ci invita a entrare nello splendore atemporale del regno della Bella Addormentata, e lo fa tramite dei meravigliosi tableaux vivants, nella rappresentazione di amori che nascono o si ritrovano e reami che tornano alla vita. Fedele a uno sperimentalismo che oggi sembra al contempo nuovo e desueto, come il doppio binario temporale del suo racconto, la fiaba di Arrietta diverte e incanta.
Ado Arrietta’s comeback as a director is a fairy tale that takes the form of a game, and an eulogy to cinema with its magical and imaginative ability to transmute time. Prince Egon of Letonia, a young dandy dedicated solely to his drums, is obsessed with the idea of finding Sleeping Beauty and breaking her spell. With the help of fairy Gwendoline and her tutor Gérard, Egon will cross the enchanted forest that surrounds the kingdom, where the princess and her whole realm fell into a very deep sleep that withholds them in the past. Following the grace and the levity of the dances that are repeated in several scenes of the film, Arrietta invites us to enter the timeless splendor of Sleeping Beauty’s kingdom, and he does so through wonderful tableaux vivants, depicting love stories and realms that come back to life. Faithful to an experimentalism that today seems both new and obsolete, with this two-track approach of his story, Arrietta’s fairy tale amuses and enchants.
anteprime queer / 22 marzo 2019
La mujer fantástica descritta nel quinto film del cileno Sebastián Lelio è la ventisettenne Marina, felicemente fidanzata col cinquantenne Orlando. Ma l’idillio non è destinato a durare e la notte del compleanno di lei Orlando muore per un malore improvviso. Fin dal suo arrivo in ospedale col fidanzato in fin di vita, la transgender Marina si ritrova sotto attacco da parte di quasi tutti i personaggi che la circondano, a partire dal medico del pronto soccorso che la denuncia senza un apparente motivo, e culminando con i componenti della precedente famiglia di Orlando, l’ex moglie e il figlio adulto. L’elaborazione del lutto, suggerisce Lelio, quando si è una donna transgender appare particolarmente complicata. E lo è perché ad aggiungersi al dolore vi sono il mancato riconoscimento di un’identità e di un legame, quando non la loro palese e brutale rimozione. Girato utilizzando uno stile tragicomico, ipnotico e seducente, Una mujer fantástica ci mostra il racconto intimo e sofferto di una coraggiosa riappropriazione del sé.
The described in the fifth film by Chilean director Sebastián Lelio is the 27-year-old Marina, happily engaged with fifty-year-old Orlando. However, the idyll is not meant to last and on the night of Marina’s birthday Orlando dies from a sudden illness. Since her arrival at the hospital with her clinging-to-life fiancé, transgender Marina finds herself under attack by almost all the characters that surround her, starting with the doctor in the emergency room who presses charges against her without any apparent reason, culminating in the meeting with the members of Orlando’s former family, namely his ex-wife and his adult son. As Lelio suggests, being a transgender woman can make the elaboration of mourning quite an excruciating experience, considering that, in addition to the pain, that person has to deal with a society which fails to recognize – or even worst represses – her identity and her affectional bonds. Shot using a tragicomic, hypnotic and seductive style, shows us the intimate and suffered story of a courageous re-appropriation of the Self.
anteprime queer / 21 marzo 2019
Parigi, primi anni ’90. Il movimento di giovani attivisti gay ACT UP dà vita a contestazioni spettacolari, alla ricerca del metodo più efficace affinché istituzioni e opinione pubblica aprano gli occhi sulla dilagante epidemia di AIDS che da qualche anno sta mietendo vittime in tutto il mondo. Il racconto parzialmente autobiografico del regista Robin Campillo mantiene viva la memoria delle battaglie di ACT UP senza formule retoriche o eccessi celebrativi, ma al contrario utilizzando un linguaggio a tratti semi-documentaristico che cala lo spettatore in un quotidiano fatto di infiniti dibattiti e confronti tra questi giovani attivisti che combattono lo spettro della morte attraverso l’arma dell’euforia e della rabbiosa vitalità della giovinezza.
Paris, early 1990s. ACT UP, a group of young gay activists organizes sensational actions in order to fight the public and institutions’ general indifference to the widespread AIDS epidemic, which in recent years has been claiming countless victims all over the world. Robin Campillo’s account, which is partially based on autobiographical experiences, is intended to keep the memory of ACT UP’s battles alive, without any rhetorical attitude or celebratory excess, but instead using a documentary-like language through which the spectator penetrates into a daily life made up of endless disputes and debates between these young activists who fight the specter of death using as their only weapon the euphoria of youth and its angry vitality.