Tra la Sicilia e Beirut si trova il Mediterraneo. Un mare che cerca costantemente di sedurre i nostri corpi, talvolta seminando la morte. Lascia che ti guardi, lascia che ti tocchi, previsto all’interno della sezione Eterotopie del Sicilia Queer filmfest 2018, si condensa attorno alla scena artistica contemporanea di Beirut e sul tema dei diritti delle persone LGBTQ. Uno sguardo sul mondo intimo e brulicante della città: amore proibito, amore clandestino e desiderio. In questa mostra ho scelto di presentare i lavori di Dima El Horr, Randa Mirza, Lara Tabet, Maria Kassab and Raafat Majzoub, ricorrendo a mezzi espressivi differenti come video, fotografia, film e installazioni, così da offrire uno sguardo pressoché voyeuristico su una Beirut recondita. Dei corpi nuotano nel Mediterraneo, altri ballano tutta la notte. Un sussurro proibito tra innamorati, una fuga verso gli spazi nascosti del desiderio. Un universo in cui la nozione di “queer” reinterpreta incessantemente il senso della celebrazione del corpo, a prescindere dall’identità sessuale. Un corpo che rivendica la libertà di essere amato e desiderato, toccato e guardato. Nel catalogo figura Evened, un testo commissionato per la sezione Eterotopie dedicata al Libano, e una selezione di fotografie scattate da Ieva Saudergaitė, facenti parte della serie Life Despite Here realizzata a Beirut tra il 2017 e il 2018. Due punti di vista sulla città di Beirut, sospesi tra finzione e documentario, e in cui la finzione si impone come una realtà diversa della città, mentre il documentario sviluppa una finzione narrativa incentrata sul corpo della città, perennemente in costruzione, alla ricerca di un’identità. Per quanto concerne le proiezioni del festival, ho scelto di presentare Martyr, lungometraggio di Mazen Khaled. Martyr, presentato alla Biennale di Venezia dello scorso anno, è un film che ritrae questo legame tra il Mediterraneo e la morte. Purtroppo in Libano i membri della comunità LGBTQ subiscono tuttora la minaccia soggiacente all’articolo 534 del Codice penale libanese, secondo cui “ogni rapporto sessuale contrario all’ordine della natura è punibile con la detenzione fino a un anno”. La comunità LGBTQ libanese vive ancora nell’instabilità, ma, anziché soffermarmi troppo sui dettagli, ho deciso di chiudere questa mia introduzione con le parole di due giudici libanesi:
«In considerazione del fatto che l’uomo è parte della natura nonché uno dei suoi elementi, una cellula annidata in un’altra cellula, non è possibile definire qualsiasi sua condotta o comportamento contro natura […] pertanto le relazioni omosessuali consensuali non sono “innaturali” e, di conseguenza, non dovrebbero essere soggette a sanzioni legali».
Verdetto del giudice Mounir Suleiman contro l’accusa nei confronti di due omosessuali libanesi che invocava l’articolo 534 del Codice penale libanese; Corte di Batroun; Libano settentrionale, 2009.
«L’identità di genere non può essere definita soltanto dai documenti legali; l’evoluzione della persona e la sua percezione del proprio genere di appartenenza dovrebbero essere prese in considerazione».
Verdetto del giudice Naji al-Dahdah contro l’azione penale nei confronti di una donna transgender accusata di aver intrattenuto una “relazione omosessuale con un uomo”; Corte di Judaydat al-Matn, Monte Libano, 2014.
Between Sicily and Beirut lies the Mediterranean. A sea that flirts with our bodies, a forbidden flirt that might cause death. “Lascia che ti guardi, lascia che ti tocchi - Let me watch you, let me touch you” is a call for the sea, so as for the bodies, the societies and the nations too. The exhibition , foreseen for the Eterotopie section of the Sicilia Queer filmfest 2018, focuses on the contemporary art scene of Beirut as well as on the theme of LGBTQ people’s rights. A look at the intimate world of the city: forbidden love, clandestine love, desire. At the exhibition I am presenting the works of Dima El Horr, Randa Mirza, Lara Tabet, Maria Kassab and Raafat Majzoub, through different mediums like videos, photography, films and installations, in order to give a voyeuristic look at an intimate Beirut. Bodies swimming in the Mediterranean and others dancing all night. A forbidden whisper between lovers, an escape towards hidden spaces of desire. A universe where the notion of ‘Queer’ reinterprets the sense of celebrating the body regardless of sexual identity. A body that claims freedom of being loved and desired, touched and looked at. In the catalogue appears “Evened”, a text by Raafat Majzoub, commissioned for the section Eterotopie dedicated to Lebanon, and a selection of photos taken by Ieva Saudergaitė, part of her series shot in Beirut between 2017 and may 2018. Two takes on the city of Beirut, between fiction and documentary, where the fiction imposes itself as a different reality of the city, while the documentary develops a fictional story about the body of the city, constantly under-construction, searching for an identity. As part of the festival, I have chosen to screen , a feature film by Mazen Khaled. premiered at last year’s Venice Biennale, it’s a film that portrays this erotic connection between the Mediterranean and death. In Lebanon, regrettably, LGBTQ members are still threatened by the article 534 of the Lebanese Penal Code which states that . The LGBTQ community in Lebanon experiences lots of ups and downs, but, instead of looking closely at all the details, I have decided to end my introduction by quoting two Lebanese judges:
“Whereas man is part of nature and one of its elements, and a cell within a cell in it, it cannot be said that any practice of his or any behaviour of his is against nature [….] therefore consensual same-sex relations are not “unnatural,” and therefore shouldn’t be subjected to legal penalty.”
Judge Mounir Suleiman, issuing a verdict against the prosecution of two Lebanese gay men that invoked Article 534 of the Lebanese Penal Code; Batroun Court, North of Lebanon, in 2009.
“Gender identity is not only defined by the legal papers; the evolution of the person and his/her perception of his/her gender should be taken into consideration.”
Judge Naji al-Dahdah, issuing a verdict against the prosecution of transgender woman accused of having a “same-sex relationship with a man”; Jdeideh Court, Mount Lebanon, in 2014.