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[ita]
«Vanità delle vanità, tutto è vanità»: con questa citazione si apre e si chiude l’Ecclesiaste, e dalla stessa prende avvio la disamina di Rappaport incentrata sul ruolo dei tavoli da trucco – e soprattutto degli specchi – nel cinema del maestro indiscusso del melodramma, Douglas Sirk. La costruzione ridondante del monito biblico non si appiattisce qui in una metaforica immagine allo specchio, in quanto transitoria, inaffidabile e vanesia. Sedute al “tavolo della vanità” stanno le donne, a volte prigioniere di un microcosmo fittizio dal quale è impossibile fuggire, ma che altre volte è soglia attraverso cui accedere a falde temporali divergenti, che sia quella di un passato che riaffiora o quella di un futuro che potrebbe scompaginare le loro vite. Uno sguardo concreto ai film, un’analisi che si sofferma sugli oggetti che riempiono e danno forma alle inquadrature.
[eng]
«Vanity of vanities, all is vanity»: this statement opens and ends the Ecclesiastes, so as Rappaport’s investigation does, focusing on the role of vanity tables – and, above all, of mirrors – in the cinema of the undisputed master of melodrama, Douglas Sirk. However, the redundant construct of the biblical admonition does not flatten out in a metaphorical mirror image, inasmuch as it is transient, unreliable and vain. Seated at the "vanity table" are the women, sometimes prisoners of a fictitious microcosm from which it is impossible to escape, but that other times is a threshold through which to access divergent temporal strata, whether it is that of a past that resurfaces or that of a future that could overturn their lives. A concrete look at the films, an analysis that focuses on the objects that fill and shape the shots.