panorama queer / 19 maggio 2022
TICKET ON LINE > https://www.vivaticket.com/it/biglietto/el-auge-del-humano/182377
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Edifici residenziali di lusso contraddistinti da uno stile architettonico geometrico e circondati dal verde popolano una serie di spazi urbani uniformi che Zachary Epcar rappresenta con una sequenza di fotogrammi precisi, gestualità identiche e frasi pre-programmate, che evolvono verso l'entropia. Quale flusso ribelle, quali eruzioni di energia si nascondono dietro la piatta superficie a griglia di The Canyon? In un luogo in cui tutto sembra accadere in superficie, questo film ci immerge nelle infrastrutture del desiderio su cui è costruito il nostro presente.
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The boxy architecture and cordoned greenery of luxury housing developments populate a series of uniform urban spaces, which Zachary Epcar depicts as a sequence of precise frames, stock gestures, and pre-programmed phrases, drifting into entropy. What wayward flows, what eruptions of energy, can be found beneath the flat surfaces and grid-like structures of The Canyon? In a place where everything seems to happen on the surface, this film takes us deep into the infrastructures of desire on which our present moment is built.
panorama queer / 19 maggio 2022
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Argentina, Mozambico e Filippine sono il terreno di osservazione scelto dal regista per raccontare la generazione dei millennials. Ogni segmento segue una manciata di personaggi, che sono spesso visti bighellonare o spostarsi da uno spazio all’altro: il posto di lavoro, la casa o il computer usato per racimolare un po’ di soldi esibendosi di fronte ad una telecamera in siti di cybersex. Lo scenario cambia ma le sensazioni e i vissuti sembrano gli stessi. Come pure sembrano identiche le emozioni legate alla mancanza di una meta, alla noia e all’alternanza di eccitazione e depressione. I personaggi raffigurati sono invariabilmente poveri, irrequieti e alla ricerca di una connessione con altri esseri umani. Le ultime parole vengono pronunciate da una macchina in una fabbrica di tablet a Bohol nelle Filippine, che ripete: «Va bene». Ma noi, come spettatori, sentiamo che non è così.
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Argentina, Mozambique and the Philippines are chosen by the filmmaker as observation ground to describe the generation of millennials. Each segment follows a handful of characters, who are often seen loitering or moving between spaces, such as workplace and home or computer, used for performing sex acts in front of a web camera for money in cybersex websites. The scenario changes but feelings and experiences are the same. As well as the sensations related to aimlessness, boredom, excitement and depression. The characters depicted are invariably poor, restless and on the search for connection with other human beings. The last words are spoken by a machine in a tablet factory in Bohol, Philippines, which repeatedly says: «Okay». But we, as the audience, experience a different emotional state.
panorama queer / 19 maggio 2022
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Una donna sta guardando il cellulare in un parco, circondata da bambini che giocano. Il film fa parte di un progetto commissionato nel 2021 dal Punto de Vista Film Festival, per il quale i curatori Garbiñe Ortega e Matías Piñeiro hanno chiesto ad alcuni autori di filmare una lettera indirizzata a un regista da loro ammirato. Per Las Cartas Que no Fueron También Son Gibson ha dedicato la sua lettera d'amore a tre registe – Barbara Loden, Nina Menkes e Bette Gordon –, donne le cui voci e i cui personaggi l'hanno profondamente influenzata negli ultimi anni.
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A woman is scrolling through her cell phone in a park, surrounded by playing children. The film was commissioned in 2021 as part of a project by Punto de Vista Film Festival in which several filmmakers were asked by curators Garbiñe Ortega and Matías Piñeiro to film a letter to a filmmaker they admired. For ( Gibson wrote a love letter to three filmmakers – Barbara Loden, Nina Menkes & Bette Gordon –, women whose voices and characters have influenced her deeply in the last few years.
panorama queer / 19 maggio 2022
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Sei figure – due sorelle che non sono sorelle, due lavoratrici di una lavanderia, una regina di bellezza e un barboncino si incontrano in un angolo di strada a Parigi. Basato su una sceneggiatura di Gertrude Stein, scritta nell'Europa fascista del 1929, il film indaga la maternità e, per estensione, il futuro, con la partecipazione della celebre poetessa americana Alice Notley, l’educatrice Diocouda Diaoune, le registe Basma Alsharif e Ana Vaz e l’artista Adam Christensen in una spirale di immagini spezzate che assomigliano a un thriller senza essere realmente un thriller e sembrano frammentate nelle logiche imponderabili dei sogni.
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Six characters – two sisters who aren’t sisters, two laundresses, a beauty queen and a poodle meet on a street corner in Paris. Based on a script by Gertrude Stein, written in the fascist Europe of 1929, the movie investigates motherhood and, by extension, futurity. Featuring renowned American poet Alice Notley, educator Diocouda Diaoune, filmmakers Basma Alsharif and Ana Vaz and artist Adam Christensen in a spiral of broken images that resemble a thriller without really being a thriller and seem fragmented in the imponderable logics of dreams.
panorama queer / 19 maggio 2022
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Il film si apre con l’artista che descrive un momento di paura e poi prosegue giustapponendo filmati della famiglia di Gibson a scene di disordini globali. Sono presenti anche letture dei poeti americani Eileen Myles e C.A. Conrad – la cui poesia dà il titolo al film – insieme a immagini ritrovate e alla colonna sonora di Pauline Oliveros. Nonostante la paura e l’ansia generate da alcune immagini in sequenza rapida, le tenere scene familiari forniscono uno sfondo narrativo di forza e sopravvivenza.
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The film opens with the artist describing a moment of fear and then goes on to juxtapose footage of Gibson’s family with scenes of global unrest. Readings by American poets Eileen Myles and C.A. Conrad – whose poem supplies the title for this film – also feature, alongside found images and soundtrack by Pauline Oliveros. Despite the fear and anxiety generated by some of the fast-moving footage, tender family scenes provide an overriding narrative of strength and survival.
panorama queer / 19 maggio 2022
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Una persona di genere indefinito parte per una spedizione su un pianeta in cui non esiste la parola. L’incontro con un essere chiamato Agatha costituisce un punto di svolta: la comunicazione tra loro si adatta alle particolarità dell’ambiente. Viaggio psicosessuale nell’alterità e incontro con la diversità del sé, attraverso la scoperta del somatico al posto della parola, il film si basa su un sogno fatto dal compositore Cornelius Cardew, rappresentante radicale dell’avanguardia musicale.
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A person of indeterminate gender sets out on an expedition to a planet without speech. A meeting with a being called Agatha constitutes a turning point: the communication between them adapting itself to the particularities of their environment. A psychosexual journey into otherness, and an encounter with the diversity of self, through the discovery of the somatic in place of words, the film is based on a dream had by the radical avant-garde composer Cornelius Cardew.
presenze / 19 maggio 2022
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Il secondo movimento della Suite orchestrale n. 3 in Re maggiore di Bach accompagna tre piani sequenza, punteggiati da parole riferite alla sessualità, di donne e uomini nudi all’interno di una stanza, alternati ad altri tre piani sequenza en plein air in cui delle voci fuori campo raccontano con dovizia di dettagli delle esperienze sessuali.
Blue Streak, una dei primi lavori di Mark Rappaport, è una dichiarazione d’intenti, un manifesto programmatico di un autore che contesta la netta separazione tra: cultura alta e cultura bassa; linguaggio aulico, medico, scientifico e linguaggio quotidiano, gergale, volgare; maschile e femminile; umano e animale. E allo stesso tempo è una reinterpretazione personalissima e sovversiva del blue movie. Un invito a tenere in considerazione che ciò si sta cercando possa trovarsi nei luoghi apparentemente più impensabili.
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The second movement of Bach’s Orchestral Suite n. 3 in D major accompanies three long takes, punctuated by words referring to sexuality, of naked women and men inside a room, alternating with three other long takes en plein air in which off-screen voices tell of sexual encounters in great detail.
Blue Streak, one of Mark Rappaport's first works, is a declaration of intent, a programmatic manifesto by an author who challenges the clear-cut distinction between: high culture and low culture; courtly, medical, scientific language and informal, slang, vulgar language; masculine and feminine; human and animal. And at the same time it is a very personal and subversive reinterpretation of the “blue movie”. An invitation to always take in mind that what you are looking for may actually be found in the most unimaginable places.
presenze / 19 maggio 2022
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Ognuno vive la propria età aurea in una fase differente dell’esistenza, senza che sia possibile averne tempestiva contezza. Chris Olsen è stato un attore fin da quando era in fasce e ha raggiunto la sua età dell’oro tra gli 8 e i 10 anni, collaborando con alcuni tra i più grandi registi attivi a Hollywood negli anni Cinquanta, da Ray e Boetticher, da Cukor a Minnelli, da Hitchcock a Sirk. Guardando retrospettivamente alla sua infanzia, cerca di rintracciare il filo conduttore della sua carriera, il tratto distintivo che gli ha fruttato più apprezzamenti. Chris Olsen, un bambino dall’aspetto comune che sapeva piangere al momento giusto e in maniera convincente, l’incarnazione di un pianto simbolico che preannuncia la morte del patriarcato soffocante e la nascita di un uomo consapevole della propria fragilità che non prova vergogna per le proprie lacrime.
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Everyone lives his own golden age in a different stage of life, without it being possible to have timely awareness of it. Chris Olsen has been an actor since he was a baby and reached his golden age between 8 and 10 years old, working with some of the greatest directors in Hollywood in the 1950s, from Ray and Boetticher, from Cukor to Minnelli, from Hitchcock to Sirk. Looking back at his childhood, he tries to trace the common thread of his career, the distinctive trait that has earned him the most appreciation. Chris Olsen, a common-looking boy who knew how to cry at the right time and in a convincing way, the embodiment of a symbolic crying that heralds the death of the suffocating patriarchy and the birth of a man aware of his own frailty and who feels no shame for his own tears.
presenze / 19 maggio 2022
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In poco più di dieci anni di carriera Debra Paget ha collaborato con grandi autori, è stata legata alla 20th Century Fox da un contratto esclusivo e ha cercato di eludere i ruoli stereotipati spesso assegnatile dando prova delle sue doti attoriali, per poi infine eclissarsi al volgere degli anni Sessanta. Debra Paget, For Example è il ritratto di un’attrice promettente, una starlet mai divenuta diva, un corpo sacro e profano, un volto da “Madonna addolorata” e la somma “Principessa del kitsch”: un tassello importante dell’opera di Rappaport che continua a sovvertire il canone cinematografico imperante e questionare la sua autorità nonché a ripensare la storia del cinema come arte della digressione e della fulgida ri-scoperta di ciò che è stato dimenticato, sottostimato o relegato all’irrilevanza.
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In just over a decade, Debra Paget collaborated with great directors and soon became a contract player at 20th Century Fox. She tried to circumvent the stereotypical roles often assigned to her, and eventually disappeared with a certain hint of mystery at the turn of the 60s. Debra Paget, For Example is the portrait of a promising actress, a starlet who never became a diva, a sacred as well as profane body, the master at the “sorrowful Madonna looks” and the sumptuous “Princess of Kitsch”: an important piece of the work by Rappaport who continues to subvert the cinematic canon while questioning its authority, as well as rethinking the history of film as an art of digression and brilliant re-discovery of what has been neglected, underestimated or relegated to irrelevance.
presenze / 19 maggio 2022
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Jean Seberg è la prima attrice moderna, il volto emblematico della Nouvelle Vague. Come la Sabrina wilderiana, Seberg lascia gli Stati Uniti per completare la propria formazione a Parigi e poi fare ritorno in patria, dove tuttavia ha già collaborato con Otto Preminger. Pur prendendo le mosse dalle confessioni post mortem che intrecciano carriera e vita privata, le sue parole si soffermano sui momenti più bui della storia americana – tra violenza guerrafondaia e discriminazione – coinvolgendo altre celebri personalità, da Vanessa Redgrave a Jane Fonda, da Ivan Mozžuchin a Clint Eastwood. I suoi primi piani in Fino all’ultimo respiro mostrano un volto che fa appello direttamente allo spettatore, gli occhi adombrati di colei che è divenuta immortale prima di morire, di colei che ha concluso il racconto della propria vita su dei puntini di sospensione.
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Jean Seberg is the first modern actress, the most emblematic face of the Nouvelle Vague. Like Wilder’s Sabrina, Seberg leaves the US to complete her education in Paris soon to return to her country, where she has already collaborated with Otto Preminger. While starting from the post mortem confessions that intertwine career and private life, her words dwell on the darkest moments in American history – between warmongering violence and discrimination – involving other famous personalities, from Vanessa Redgrave to Jane Fonda, from Ivan Mozžuchin to Clint Eastwood. Close-ups of her in Breathless show a face that appeals directly to the viewer, the shadowed eyes of someone who became immortal before dying, of someone who finished her life story on suspension points.
presenze / 19 maggio 2022
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Anita Ekberg debutta all’inizio degli anni Cinquanta: una bionda giunonica che fa perdere la testa agli uomini, una sex symbol esplosiva che, nei film diretti da Frank Tashlin, arriva a guadagnarsi il ruolo di comprimaria della coppia Lewis-Martin. Ma è con i venti minuti più importanti della sua carriera ne La dolce vita (1960) che si trasforma in “dea del sesso”, creatura mitologica immersa nella Fontana di Trevi. Dai tempi di Hollywood o morte! (1956) interpreta se stessa, ma è soltanto in Boccaccio ’70 (1962) che può finalmente diventare Anita Ekberg, un’attrice di fama internazionale. “Diventare Anita Ekberg” implica allora il rimanere immobilizzata in una posa fotografica che amplifichi la sua aura di dea immortale – nell’illusione che sia possibile fermare il tempo – e, parimenti, non essere più in grado di calzare i sandali divini e abbracciare la propria natura mortale.
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Anita Ekberg makes her debut in the early 1950s: a Junoesque blonde who makes men lose their minds, an explosive sex symbol who, in the films directed by Frank Tashlin, manages to earn the role of supporting actress for the Lewis-Martin duo. But it is with the most important twenty minutes of her career in La dolce vita (1960) that she becomes a "sex goddess", a mythological creature immersed in the Trevi Fountain. Since Hollywood or Bust! (1956) she plays herself, but it is only in Boccaccio '70 (1962) that she can finally become Anita Ekberg, an internationally renowned actress. "Becoming Anita Ekberg" then implies being immobile in a photographic pose that amplifies her aura of immortal goddess – in the illusion that it is possible to stop time – and, likewise, no longer being able to put on the divine sandals, and thus acknowledging to be a mortal creature.
presenze / 19 maggio 2022
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Martin Kosleck e Hans Heinrich von Twardowski lasciano la Germania hitleriana e vivono una relazione sentimentale duratura. Martin è ebreo, Hans è omosessuale. Martin ottiene il suo primo ruolo importante nel 1934 con Le armi di Eva di Dieterle, un illustre connazionale emigrato negli Stati Uniti. Hans ha invece all’attivo importanti collaborazioni, da Murnau a Lang passando per Wiene, che risalgono alla grande stagione del cinema muto tedesco. Ma mentre Hans cerca di smarcarsi da ruoli preconfezionati dedicandosi al teatro, Martin rimane sempre più imbrigliato nelle parti del nazista di turno o del sospettato dall’accento insolito. Seguendo i destini sentimentali e le sorti attoriali dei due esuli, Martin und Hans costituisce un ulteriore, ingegnoso capitolo nella complessa opera di scrittura revisionistica della storia del cinema compiuta da Mark Rappaport.
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Martin Kosleck and Hans Heinrich von Twardowski leave Hitlerian Germany and live a long-lasting relationship. Martin is Jewish, Hans is homosexual. Martin got his first major role in 1934 in Fashions of 1934 by Dieterle, a famous compatriot who emigrated to the United States. Hans, on the other hand, had important collaborations, from Murnau to Lang and Wiene, which date back to the great era of German silent cinema. But as Hans tries to break free from ordinary roles by dedicating himself to the theatre, Martin is increasingly bridled in the parts of the Nazi or of the suspect with an unusual accent. Following the sentimental destinies and the actorial fortunes of the two exiles, Martin und Hans is a further, ingenious chapter in Mark Rappaport's complex revisionist writing of the history of cinema.
presenze / 19 maggio 2022
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Quanti altri capolavori avrebbe realizzato Max Ophüls se non ci avesse lasciato a soli 54 anni?, si chiede Rappaport in quest’opera che esterna tutta la sua ammirazione per il grande cineasta tedesco. E, soprattutto, in quali altri modi avrebbe potuto farci apprezzare il talento e la garbata eleganza dei suoi attori prediletti, James Mason e Danielle Darrieux? Max & James & Danielle… è una lettera d’amore per un cinema d’altri tempi, per un mondo che non esiste più o che, forse, non è mai esistito; uno sguardo incantato e una riflessione sullo stile che non si riduce mai in una banale ricorrenza tematica, ma che rivela come un autore vede il mondo e come le sue creature lo abitano e si muovono al suo interno, danzando in sintonia con la macchina da presa, sempre mobile e palpitante come l’animo umano.
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What if Ophüls have lived longer and not died at the age of 54? How many other masterpieces he would have made?, asks Rappaport in this work that expresses all his admiration for the great German filmmaker. And, above all, in what other ways could he have made us appreciate the talent and the graceful elegance of his favorite actors, James Mason and Danielle Darrieux? Max & James & Danielle… is a love letter for a cinema of yesteryear, for a world that no longer exists or that, perhaps, has never existed; an enchanted gaze and a reflection on style that is never reduced to a trivial thematic recurrence, but something which reveals how an author sees the world and how his creatures inhabit it and move within it, dancing in harmony with the camera, always mobile and vibrant like the human soul.
presenze / 19 maggio 2022
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Da giovanissimo, Sergei M. Eisenstein si dilettava a firmare i suoi schizzi ricorrendo a un gioco di parole tanto esplicito quanto ricercatamente barocco come “Sir Gay” e dando vita, di fatto, all’alter ego del geniale regista sovietico – un’immagine rifratta intrisa di un perturbante surrealismo à la Cocteau – la cui presenza è sempre distinguibile, in filigrana, in ogni sua opera. Un viaggio eccentrico nel cinema di Eisenstein alla ricerca di gesti allusivi, suggestioni omoerotiche e accensioni passionali tutt’altro che “ortodosse”; un’incursione eretica che contesta l’idea di un’opera fiaccata da cascami ideologici e appesantita da una seriosità paradossale. Una controstoria del cinema concepita a partire da uno sguardo deviante capace di tratteggiare il difforme in seno alla forma.
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From a very young age, Sergei M. Eisenstein amused himself by signing his sketches with a pun as explicit as sophisticatedly elaborate like "Sir Gay" and, in fact, by giving life to the alter ego of the brilliant Soviet director – a refracted image imbued with a perturbing surrealism à la Cocteau – whose presence is always distinguishable, between the lines, in each of his cinematic works. An eccentric journey into Eisenstein's cinema in search of allusive gestures, homoerotic enticements and burning passions that are anything but "orthodox"; a heretical intrusion that disputes the idea of an oeuvre weakened by ideological sternness and weighed down by a paradoxical seriousness. A counter-history of cinema conceived starting from a deviant gaze capable of outlining the deformity within the form.
presenze / 19 maggio 2022
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Separare nettamente la propria vita privata da quelle dei personaggi interpretati per un attore può rivelarsi un’impresa ardua. Ancora di più quando questa duplicità nasconde, dietro il piglio mascolino da dongiovanni impenitente bramato dalle donne, un omosessuale che lavora nella Hollywood superficialmente conservatrice degli anni Cinquanta. Sfruttando al massimo le possibilità offerte dalla manipolazione delle videocassette, in Rock Hudson’s Home Movies Rappaport analizza con sagace umorismo i frammenti dei film più celebri nei quali il grande divo ha preso parte, riuscendo a trasformarli in intimi scampoli di pellicola trafugati da un archivio di filmini di famiglia, lasciando emergere la personalità della quale, come personaggio pubblico, era stato deprivato: una personalità che solo la morte e il cinema che diventa pratica d’archivio possono riassegnare.
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For an actor, clearly separating his private life from those of the characters he plays, can prove to be a difficult task. Even more so when this duplicity hides, behind the masculine look of an unrepentant ladies’ man coveted by women, a homosexual who works in the superficially conservative Hollywood of the 1950s. Making the most of the possibilities offered by the manipulation of VHS, in Rock Hudson's Home Movies Rappaport analyses with shrewd humour the fragments of the most famous films in which the great actor took part, managing to transform them into intimate scraps of film stolen from an archive of home movies, letting thus emerge the personality of which, as a public figure, had been deprived: a personality that only death and the cinema that becomes archival practice can reassign.
presenze / 19 maggio 2022
TICKET ON LINE > https://www.vivaticket.com/it/biglietto/sir-gay-e-altri-video-saggi-di-mark-rappaport/182368
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1954: una fotografia ritrae cinque dei più importanti registi francesi (Renoir, Becker, Clouzot, Tati e Bresson) a una cerimonia di premiazione. Di che cosa avranno mai parlato? Quali suoni hanno accompagnato il momento catturato dall’immagine? A partire da questa suggestione, Tati vs Bresson: The Gag analizza il rapporto che i due cineasti intrattengono con il suono e l’immagine – e con la loro combinazione multiforme – lasciando emergere una comunanza tanto profonda quanto sorprendente tra vis comica e drammatica, gag policentriche e appiattimento pluridimensionale. Un altro viaggio, punteggiato da preziose deviazioni, che si muove da uno spunto specifico per abbracciare l’intera storia del cinema, rivelando imprevedibili consonanze, grazie a una curiosità illuminata capace di smarcarsi dai luoghi comuni e dai placidi e ligi approdi della storiografia.
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1954: a photograph portrays five of the most important French directors (Renoir, Becker, Clouzot, Tati and Bresson) at an awards ceremony. What did they ever talk about? What sounds accompanied the moment captured by the image? Starting from this suggestion, Tati vs Bresson: The Gag analyses the relationship that the two great filmmakers have with sound and image – and with their manifold combination – leaving out a deep and surprising commonality between vis comica and vis dramatica, polycentric gags and multidimensional flattening. Another journey, punctuated by precious detours, which moves from a specific starting point to embrace the entire history of cinema, revealing unpredictable consonances, thanks to an enlightened curiosity capable of breaking free from commonplaces and placid and loyal approaches to historiography.
presenze / 19 maggio 2022
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La storia del cinema hollywoodiano trova una nuova forma narrativa attraverso l’accostamento di un incredibile mole di spezzoni tratti da film prodotti tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta. Un viaggio – puntellato dalle osservazioni sagaci e dalle battute briose dell’anfitrione Dan Butler – sulle tracce di allusioni e doppi sensi che fanno riferimento all’omosessualità. Si passa dalla sua accettazione tacita e dalle spiritose scenette “a tema” degli anni Trenta alla derisione più aspra dell’immediato dopoguerra, un’epoca in cui i ruoli di genere si irrigidiscono anziché predisporsi a una maggiore flessibilità; dalla parodia del corteggiamento eterosessuale al flirt apertamente gay. E se è possibile inviare più messaggi contemporaneamente e fare quindi l’occhiolino a pubblici differenti, il cinema americano ha fatto dell’elusione dell’autocensura imposta dal codice Hays un’arte tanto sotterranea quanto dirompente.
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The history of Hollywood cinema finds a new narrative form through the juxtaposition of an incredible amount of clips taken from films produced between the 1930s and 1960s. A journey – underpinned by the keen observations and spirited jokes of host Dan Butler – on the trail of innuendos and double meanings that refer to homosexuality. We move from its unspoken acceptance and the witty "themed" skits of the 1930s to the harshest derision of the postwar period, when gender roles hardened rather than becoming more flexible; from parody of heterosexual courtship to openly gay flirts. And if it is possible to send multiple messages at the same time and, consequently, wink at different audiences, Hollywood cinema has made of the avoidance of self-censorship imposed by the Hays code an art that is as underground as it is disruptive.
presenze / 19 maggio 2022
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Viaggiando per Firenze, Stendhal fu sopraffatto dalla bellezza che si annidava in ogni suo angolo, fino a starne male. La Nascita di Venere, il David di Michelangelo possono provocare quella che la psicologa Graziella Magherini ha definito Sindrome di Stendhal, riferendosi proprio al celebre precedente storico. Rappaport scandaglia i risvolti sensuali di questo disagio psicologico, rievocando lo spasmo estatico (quasi onanistico) della ripetizione, soffermandosi sul tipo di inquadratura che più connota il cinema classico hollywoodiano: il primo piano. Quello di Joan Crawford in Perdutamente è per lui destabilizzante quanto la statuaria rinascimentale, quelli del giovane Turhan Bey lo fanno cadere in deliquio. Al di là dell’ammirazione di matrice intellettuale, è il corpo a nutrirsene, a irrorarsi, a infervorarsi e, al contempo, a sperimentare la senescenza.
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Traveling around Florence, Stendhal was overstimulated by the beauty that lurked in every corner, until he felt woozy. The Birth of Venus, Michelangelo’s David can provoke what the psychologist Graziella Magherini has defined the Stendhal Syndrome, referring precisely to this famous historical precedent. Rappaport explores the sensual aspects of this psychological distress, recalling the ecstatic spasm (almost onanistic) of repetition, focusing on the most distinctive type of shot in classical Hollywood cinema: the close-up. Joan Crawford’s close-up in Humoresque is for him as destabilizing as the Renaissance statuary, those of the young Turhan Bey make him swoon. Beyond the admiration that revolves around the intellect, it is the body that finds nourishment, that is irrigated and aroused and, at the same time, starts to experience senescence.
presenze / 19 maggio 2022
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«Vanità delle vanità, tutto è vanità»: con questa citazione si apre e si chiude l’Ecclesiaste, e dalla stessa prende avvio la disamina di Rappaport incentrata sul ruolo dei tavoli da trucco – e soprattutto degli specchi – nel cinema del maestro indiscusso del melodramma, Douglas Sirk. La costruzione ridondante del monito biblico non si appiattisce qui in una metaforica immagine allo specchio, in quanto transitoria, inaffidabile e vanesia. Sedute al “tavolo della vanità” stanno le donne, a volte prigioniere di un microcosmo fittizio dal quale è impossibile fuggire, ma che altre volte è soglia attraverso cui accedere a falde temporali divergenti, che sia quella di un passato che riaffiora o quella di un futuro che potrebbe scompaginare le loro vite. Uno sguardo concreto ai film, un’analisi che si sofferma sugli oggetti che riempiono e danno forma alle inquadrature.
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«Vanity of vanities, all is vanity»: this statement opens and ends the Ecclesiastes, so as Rappaport’s investigation does, focusing on the role of vanity tables – and, above all, of mirrors – in the cinema of the undisputed master of melodrama, Douglas Sirk. However, the redundant construct of the biblical admonition does not flatten out in a metaphorical mirror image, inasmuch as it is transient, unreliable and vain. Seated at the "vanity table" are the women, sometimes prisoners of a fictitious microcosm from which it is impossible to escape, but that other times is a threshold through which to access divergent temporal strata, whether it is that of a past that resurfaces or that of a future that could overturn their lives. A concrete look at the films, an analysis that focuses on the objects that fill and shape the shots.
presenze / 19 maggio 2022
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Will Geer è stato un attivista e agitatore politico, inserito nella lista nera durante l’era McCarthy, e il rassicurante “nonno d’America” nella serie tv Una famiglia americana; un socialista militante, strenuo difensore dei diritti gay, e il capostipite di una delle famiglie più amate della nazione, i cui progenitori sono interpretati da due celebri abitanti di Sodoma (lui stesso) e Gomorra (Ellen Corby). Ma Will Geer è anche un attore che ha collaborato con grandi registi come Mann, Preminger e Frankenheimer e che, attraverso i film, ha contestato, riflesso e sovvertito la storia moderna americana, pervertendo lo schema dell’establishment che lo aveva imbavagliato per corroderlo dall’interno, turbandolo con il suo volto di uomo “nato per essere anziano”, un adorabile vecchietto dallo sguardo sornione proprio di chi ha costruito un mondo nuovo.
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Will Geer was a political activist and agitator, blacklisted during the McCarthy era, as well as the reassuring “America’s grandpa" in the TV series The Waltons; a militant socialist, a staunch defender of gay rights, and the forefather of one of the nation’s most beloved families, whose progenitors are played by two celebrated residents of Sodom (Geer himself) and Gomorrah (Ellen Corby). But Will Geer is also an actor who has collaborated with great directors such as Mann, Preminger and Frankenheimer and who, through films, has challenged, reflected and subverted modern American history, perverting the rules of the establishment that had gagged him, in order to corrode it from the inside, unsettling it with the face of a man who was "born to be old", an adorable little old man with a sly look of a man who has built a new world.
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