header-text

editoriale

Quest’anno Rosi Castellese e Luigi Carollo non parteciperanno al Sicilia Queer, perché hanno lasciato questo pianeta. Cominciare l’editoriale rivolgendo il nostro pensiero a questi due costruttori di mondi è un modo per esplicitare immediatamente un profondo e sentito debito di gratitudine nei loro confronti. Il lascito di esperienze, relazioni, esempi che la loro esistenza porta con sé è enorme, e per questa ragione – tutta pubblica, interamente politica, ma per noi inevitabilmente anche umana e personale – a loro questo festival è dedicato. Militanti, partigiani, hanno difeso i diritti non soltanto delle persone lgbtqia+ agendo sullo spazio pubblico, creando luoghi di incontro e discussione che prima non esistevano, scommettendo sul futuro e contribuendo concretamente, con il loro lavoro, a fare di Palermo una città migliore. Sarà la storia a dire in che misura operare a partire dai margini – creando ad esempio spazi indipendenti come i circoli lesbici nel quartiere del Borgo Vecchio (prima Lady Oscar, poi ‘nzocché) ed esperienze come quella di Palermo lesbicissima, o immaginare che il Pride dovesse avere sin da subito un’impostazione intersezionale e trasversale e tenere insieme segmenti ampi della società tutta – abbia contribuito a cambiare il volto della città in cui viviamo, a nostro avviso più di quanto non si sia soliti ammettere, respingendo in maniera gioiosa e vitale l’ammissibilità di discorsi omobitransfobici, classisti, xenofobi, razzisti e fascisti. Rosi e Luigi hanno dato prova con le loro vite che il lavoro culturale conta ed è politico, producendo effetti nello stesso tempo instabili e duraturi. Hanno mostrato come il rigore non esclude le risate, e viceversa; e che le conseguenze di una vita luminosa sono imprevedibili – il nostro festival ne è uno dei frutti. Pensiamo dunque a loro come un esempio a cui guardare e da proteggere preziosamente per il presente e per il futuro, e con questo spirito ci rivolgiamo alle persone che al festival saranno presenti, gli spettatori e le spettatrici di questa edizione. Cosa offriamo loro?


Innanzitutto, essenzialmente, uno spazio di narrazioni altre. Un luogo dove ha diritto di ospitalità il dissenso nei confronti del discorso dominante, il confronto con posizioni minoritarie, dissonanti, alternative. Dove cioè esercitare la critica significa aprire spazi di possibilità contro l’inevitabilità di scelte imposte; dove si propone una cultura di pace contro i venti di guerra che spirano oggi in Europa e nel Medio Oriente; dove si prova ad avversare l’inevitabilità della paura, esercitando il pensiero contro la pigrizia e contrastando la naturale tendenza ad abbandonarsi al sonno della ragione. Un posto dove è possibile guardare il mondo con occhi diversi, scoprendo ad esempio che nella nostra città, hidden in plain sight, ci sono universi e storie tutte da esplorare – lo fanno Beatrice Gibson e Nick Gordon in Someplace in your Mouth, il trailer che accompagna questa edizione del festival, dal parcheggio del centro commerciale Forum a Brancaccio. Per questo le Eterotopie non potevano che condurci in Palestina, in un momento così difficile che il mondo intero vive con terrore e che noi proviamo ad attraversare come possiamo, tramite il cinema, per offrire spazi di complessità. Per ragioni analoghe, proseguendo un discorso cominciato lo scorso anno e continuato anche nel corso di questo, dopo aver esplorato il cinema di Laura Citarella e portato a Palermo nel dicembre 2023 Agustín Mendilaharzu e Constanza Feldman nell’ambito del progetto El secreto del cine argentino, proseguiamo la nostra esplorazione dedicando una retrospettiva integrale a Matías Piñeiro, in un’inedita collaborazione tra due festival che si svolgono tra la Sicilia e il Veneto e che hanno a cuore l’attenzione verso il cinema contemporaneo e desiderano esprimere un segnale di opposizione nei confronti delle politiche del governo argentino, che mettono in serio pericolo uno dei cinema più vitali del presente.
Sono altri i fili che continuano un discorso cominciato in precedenza e trovano in questo festival nuove possibilità: è il caso della Carte postale à Serge Daney, che da Douglas Sirk ci conduce direttamente a Daniel Schmid, con la collaborazione della Cinémathèque Suisse che ha restaurato i suoi capolavori. E la triade Schmid/Fassbinder/Schroeter ci riporta anche a Monika Treut, pioniera del cinema lesbico, che riceve quest’anno il premio Nino Gennaro – un ulteriore modo per ricordare, grazie anche alla complicità di Federica Fabbiani, chi come Rosi Castellese ha contribuito a dare diritto di cittadinanza e spessore alla cultura lesbica a Palermo. La presenza di Stefania Casini, al festival per dialogare con Umberto Cantone e Francesco Foschini, ci porta a rivedere in pellicola due film stracult di Paul Morrissey nell’ambito delle Retrovie italiane nel cinquantennale dell’uscita di Dracula…, mentre un altro anniversario – il centenario della nascita di Goliarda Sapienza – sarà celebrato dalle artiste Alma Palacios e Manon Parent con la loro Autobiographie des contradictions ospitata nell’ambito delle residenze del progetto franco-tedesco Kultur Ensemble Palermo. E se lo scambio tra Düsseldorf e Palermo negli spazi della Haus der Kunst ci permette di esplorare la cultura del ballroom con una performance a cielo aperto che per la prima volta a Palermo pre-inaugura il festival – e che ritroveremo anche in un film di tre giovani registe italiane come About Last Year –, la musica del Cine-Concerto della Felicità di Agostino Ferrente e Andrea Satta e poi quella del Live A/V di Nziria in collaborazione con il festival Ypsigrock attraverseranno il festival da cima a fondo.
È impossibile esaurire tutti i fili interni della nostra programmazione, ed è bello che sia il pubblico a trovare i propri. Non volevamo dimenticare di ricordare pubblicamente ancora una volta Paul Vecchiali, col suo ultimo film, ma anche un altro grandissimo regista come Laurent Achard, in entrambi i casi grazie alla presenza del nostro giurato Pascal Cervo; e non possiamo tralasciare di nominare Adriano Aprà, che non abbiamo conosciuto direttamente ma al lavoro del quale ci sentiamo inevitabilmente vicini, e dal cui progetto di attivismo culturale ci sentiamo indiscutibilmente e speriamo non immeritatamente ispirati.
Concludiamo con delle considerazioni amare, che riguardano le condizioni concrete nelle quali si fa questo festival. Perché per l’undicesima volta consecutiva il Sicilia Queer continua con la sua proposta a promuovere e a rivendicare la difesa di uno spazio pubblico come il Cinema De Seta, in un momento nel quale quasi nessuno più ci crede, quando ancor più che in passato quello spazio è considerato un problema di cui disfarsi più che una risorsa da far fiorire. C’è qualcuno che si chiede ancora cosa poteva essere e cosa invece sia, quello spazio, a dodici anni dalla sua riapertura? È diventato difficilissimo usare il Cinema De Seta, e ci chiediamo fino a quando sarà possibile farlo. Praticamente tutti i costi sono a carico degli organizzatori, mentre l’impianto di condizionamento non funziona e non sembra esserci l’intenzione di sostituirlo (pare non sia più possibile ripararlo): se fa troppo caldo il cinema è inutilizzabile, per il freddo è opportuno coprirsi un po’. Il riconoscimento che svolgere il festival al De Seta fosse un servizio offerto alla città ha significato in passato compensare il canone di locazione con le attività offerte gratuitamente al pubblico: questa possibilità non pare essere più contemplata – evidentemente manifestazioni come la nostra, ma non solo, non rappresentano più un valore per questa città. Un dialogo autenticamente dialettico con le istituzioni comunali si è interrotto da tempo, perché esercitare critiche a vantaggio della tutela di uno spazio pubblico e dunque della collettività non è cosa gradita. Il Sicilia Queer è sempre più conosciuto nel resto d’Italia e d’Europa ma si svolge in condizioni di incomprensione e di diffidenza, se non di ostilità, da parte dell’amministrazione della città che lo ospita e nei cui spazi si svolge, essenzialmente perché non ci rassegniamo all’alternativa cui anni di incuria sembrano aver destinato il Cinema De Seta: il declino fino a quella che sarà prima o poi un’inevitabile chiusura; l’affidamento a privati, più o meno prestigiosi, come parvenza di unica possibile soluzione; l’abdicare al ruolo di una promozione culturale volta all’emancipazione delle persone, di tutte le persone, che dovrebbe partire da un’interlocuzione autentica e politica con realtà che da decenni lavorano in questa direzione. Per quanto ancora, e fino a quando?