La dodicesima edizione del Sicilia Queer segna alcuni ritorni: alla collocazione ordinaria del festival tra fine maggio e inizio giugno, quando a Palermo la Jacaranda è in fiore, per sette giorni consecutivi; al dispiegarsi delle proiezioni fra tre sale diverse, dal Cinema De Seta alla sala Wenders passando per le terrazze dell’Institut français fino a estendersi ad altri spazi come Palazzo Riso e la Haus der Kunst per i progetti di arti visive; alla musica (dal vivo e sullo schermo), che sarà la protagonista di una serata d’inaugurazione – con il progetto LAMBDAPHONE, che un artista del calibro di Roy Paci ha pensato appositamente per il festival, con Vincenzo Vasi e Massimo Ottoni – alla quale il pubblico avrà la possibilità di tornare in una sala a capienza piena, dopo due anni di riduzioni forzate, anche se ancora con l’obbligo della mascherina FFp2. Sono segnali di lieve speranza (e, ancora una volta, di ostinata resistenza) in un mondo disperato, che con la guerra in Ucraina è ulteriormente ripiombato in un passato di violenza e soprusi; sono il tentativo di mantenere lo sguardo e l’ascolto in direzione dell’arte e della cultura, schierandosi dalla parte di ciò che è diverso, minore e più insofferente alla norma e lavorando soprattutto perché le generazioni più giovani possano confrontarsi con un panorama internazionale che ogni anno continua a essere convocato a Palermo per parlare di cinema, di futuro, di possibilità e di diritti di tutti gli esseri umani. A trent’anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio è la risposta non consensuale che un gruppo di persone – che nel 1992 era bambino o addirittura doveva ancora nascere – prova a fornire, dal basso ma provando a guardare molto in alto, nella città e nel mondo che viviamo oggi.
Una risposta che è caratterizzata da una rivendicata autonomia e da una forzata (e popolatissima) solitudine, frutto di un discorso coerente portato avanti nel corso di questi anni senza compromessi e senza sconti, che ci porta a scegliere di pubblicare questo catalogo, ad esempio, senza la presenza di testi istituzionali. Si chiudono tra poche settimane dieci anni di giunte governate dal sindaco Orlando e con esse si chiude un’epoca, quella dell’orlandismo, che ha fatto dagli anni Ottanta ad oggi la storia di questa città. Non abbiamo mai smesso di additarne le tante contraddizioni, senza misconoscerne i non pochi meriti – più ascrivibili a epoche passate che a quella recente, che non ha avuto la capacità di tradurre molte ambizioni in realtà – e senza dimenticare cosa ha significato per la nostra città il decennio immediatamente precedente a quest’ultimo. Quando nel 2012 un movimento che si chiamava I cantieri che vogliamo lottava contro la svendita degli spazi dei Cantieri Culturali alla Zisa si trattava di rivendicare con forza un principio, che era quello della difesa degli spazi pubblici e dell’idea di spazio pubblico, con tutto ciò che questo implica. La situazione dei Cantieri è oggi fortunatamente incomparabile a quella dell’abbandono di dieci anni fa, ma la visione che ha alimentato l’occupazione degli spazi non è stata precisamente quella per la quale lottavamo. Un realismo un po’ cinico ha abdicato interamente all’idea che la politica potesse fare del suo e ha visto come unica soluzione possibile una progressiva curvatura in direzione dell’apertura a realtà che hanno avuto la capacità di sopperire alle mancanze del pubblico. Il partenariato pubblico-privato si è trasformato così in un prevalere del privato su un pubblico che ha allargato le braccia di fronte alle proprie incapacità e pensato di poter vantare come meriti propri le capacità altrui di attrarre o impiegare risorse, di immaginare progetti. È uno scenario del quale si può essere felici solo se ci si arrende all’idea che l’alternativa sia il deserto (vedi il Cinema De Seta). Ma non si deve scambiare lo sviluppo con il progresso né si può pensare che i due coincidano necessariamente, sotto pena di smarrire ogni minima capacità di lettura della realtà. E la logica che ha prevalso in questi anni ha molti rischi evidenti, e ha perso per strada non poche possibilità che immaginavano la cultura andare in un’altra direzione. Noi siamo convinti, ad esempio, che non ci siano alternative convincenti alla presenza forte di un’istituzione pubblica che sia in grado di indicare priorità e direzioni allo scopo di trasformare il Cinema De Seta in un’autentica risorsa di promozione cinematografica per un’area ampia del Mediterraneo: una cineteca che oggi non esiste e che rappresenterebbe una vera scommessa sul futuro, non soltanto per la città di Palermo. Dieci anni di utilizzo a singhiozzo del Cinema De Seta hanno reso evidenti tutte le possibilità inesplorate di quello spazio in un’area come quella dei Cantieri Culturali alla Zisa: non averci creduto, non averci nemmeno provato, non aver neanche distrattamente ascoltato le richieste (poche ma persistenti) e le ragioni che chiedevano di muoversi in quella direzione è stato ai nostri occhi un grave errore di cui pagheremo tutti le conseguenze. A poche settimane dalle elezioni amministrative i (pochi) risultati raggiunti in ambito culturale sembrano dunque molto fragili, basati su fondamenta poco solide perché troppo poco si è creduto davvero nel valore delle istituzioni pubbliche e della loro capacità di trasformazione, poco si è lavorato alla costruzione di realtà e luoghi che attraversino il tempo al di là di un arco temporale ristretto. E male si è lavorato su risorse nuove come la tassa di soggiorno, utilizzandola come rattoppo per i buchi di bilancio nel settore della cultura e procedendo continuamente a tentoni, senza la capacità di progettare con autorevolezza e lungimiranza: una visione che non ha avuto gambe, che si traduce concretamente in possibilità non realizzate, spazi di democrazia carenti se non vietati.
Pochi giorni fa una ragazza di ventidue anni di nome Emma Ruzzon, presidente del consiglio delle studentesse e degli studenti dell’Università di Padova, in occasione degli 800 anni del suo ateneo alla presenza del Presidente della Repubblica Mattarella ha pronunciato le seguenti parole: “Mi domando come possa considerarsi libero un Paese in cui la libertà è garantita nella sua totalità per alcuni e centellinata per altri. In cui i senatori della Repubblica possono permettersi di applaudire pubblicamente l'affossamento di un ddl [Zan] che, pure in minima parte, mirava a tutelare la libertà di esistere di persone, cittadini, in uno Stato che continua a chiudere gli occhi davanti alla sua evidente transfobia, mentre conta il più alto tasso di omicidi di persone trans in Europa”. È un discorso che riporta lucidamente e con forza la necessità di un lavoro sugli immaginari e sui diritti (che o sono di tutte e tutti o si chiamano privilegi) come quello che da molti anni rende questo festival un indispensabile motore di emancipazione collettiva che andrebbe preservato con cura. Quest’anno festeggiamo insieme al nostro pubblico il decennale delle due sezioni di storia del cinema: le Retrovie italiane di Umberto Cantone, che ricorderanno Pier Paolo Pasolini e Carlo Lizzani nel centenario della nascita, e la Carte postale à Serge Daney nel trentennale della morte del critico francese, alla presenza tra gli altri di studiosi come Pierre Eugène e registi come Mark Rappaport – a cui dedichiamo la retrospettiva della sezione Presenze –, firme autorevoli della rivista Trafic fondata da Daney.
E non possiamo non ricordare infine come lo scorso anno Letizia Battaglia era con noi nel suo Centro internazionale di fotografia a inaugurare la mostra di Lovett/Codagnone, come un paio d’anni prima a premiare Wolfgang Tillmans al Goethe-Institut con il premio Nino Gennaro (che quest’anno andrà allo scrittore americano David Leavitt), e ancora in molte altre occasioni. Dal 13 aprile di quest’anno non potrà più esserci fisicamente, ma continuerà a essere presente per tutto quello che ha fatto nella e della sua vita, e perché ci ha insegnato quella disperata vitalità che non dimentica mai, neanche a 87 anni, l’urgenza e la necessità di cambiare il mondo. Grazie, Letizia, per quanto suoni retorico davvero non ti dimenticheremo.
With this Sicilia Queer twelfth edition, we are going back to a few habits: to the usual time of the festival, a full week between late May and early June, when the Jacaranda tree is in full bloom in Palermo. To movie projections in three different auditoriums: the Cinema De Seta’s, the Wenders’, the open-air auditorium on the terrace of the Institut français, not to mention other venues such as Palazzo Riso and the Haus der Kunst for visual arts projects. To music, which this year is going to have a central role not only on the screen but also on stage. Famous Sicilian trumpeter and composer Roy Paci, together with Vincenzo Vasi and Massimo Ottoni, has in fact devised the remarkable project LAMBDAPHONE specifically for our festival. The public will be given the possibility to enjoy Paci’s live concert and our scheduled screenings only with minor restrictions (FFP2 masks are still mandatory), quite a relief after over two years of forced limiting measures.
All these are signs of slight hope (and of obstinate resistance) in a desperate world plunged back into a past of violence and abuse by the war in Ukraine. These are attempts at keeping our eyes and ears wide open to art and culture, to what is different, minor, and less tolerant of the norm. Because this is exactly what we do: we work hard so as to give our younger generations the possibility to connect with international authors and interpreters who every year keep coming to our festival in Palermo to talk about cinema, the future, and the possibilities and rights of all human beings. Thirty years after the Capaci and via D'Amelio bombings, this is the answer a group of people – who were just children or yet to be born in 1992 – is trying to offer. A grassroots answer aiming for the high branches of the blue Jacarandas of the city and the world we live in today.
A proudly independent answer from a quite crowded, still deserted group. Over the years, we have always adopted a consistent attitude, with no compromise and no discounts. For this and many more reasons we have chosen to issue this catalog without any institutional piece. In a few weeks, the 10-year-long Mayor Orlando’s latest term is coming to an end, and with it the so-called Orlando Age, which has undoubtedly made the history of our city since he was first voted in the 1980s. We have untiringly pointed out Orlando’s many contradictions along with his many merits – though these are more related to his past terms rather than to the latest ones, when not a few political ambitions failed to be turned into reality. And clear in our minds is also what the ten years before Orlando’s latest term have meant for our city.
In 2012 a movement called I cantieri che vogliamo managed to fight against the down selling of the Cantieri Culturali alla Zisa, strongly defending the principle of the protection of public spaces and of the very idea of public space, with all that this implies. Fortunately, the situation of the Cantieri today is not even comparable to the abandonment of ten years ago, but how these spaces have been occupied is not exactly what we fought for. A somewhat cynical realism has entirely superseded the idea that politics could do something and the only possible solution was to progressively open up to privatization, which has progressively made up for the shortcomings of the public administration. Thus, what was at first a public-private partnership has slowly but steadily become a mostly private affair, while the public has raised their hands unable to do anything but take merits for other people’s hard work and creative projects.
Only someone eager to surrender to the idea that the sole alternative to this is the desert (think about the Cinema De Seta) can take delight in such a scenario. Development cannot be confused with progress, nor should we think that the two necessarily coincide, or else we may lose any ability to interpret reality. The logic that has prevailed in recent years has many obvious risks, and quite a few chances of imagining other directions for our culture have gone wasted.
We strongly believe that only the committed work of a solid public institution could finally make Cinema De Seta into what it deserves to be, i.e., an authentic film promotion resource for such a wide area as The Mediterranean region: a much-needed still non-existent Cinémathèque that would represent a real bet about the future, not only for the city of Palermo. For ten years, the Cinema has been used in fits and starts. If, on the one hand, this has undoubtedly highlighted all its unexplored possibilities, on the other, it has also called attention to the many unfulfilled opportunities the Cantieri Culturali alla Zisa may have offered. Not having believed it, not having even tried it, nor having even casually listened to our few still persistent requests and reasons to move in that direction is, for us, a terrible mistake we will all pay the consequences for.
Shortly ahead of the administrative elections, the (few) results achieved in the cultural sphere seem therefore very fragile. These are results with not very solid foundations, the result of little to no faith in the value of institutions and their ability to transform, of little to no success in creating something able to go beyond current times and space.
A poor job was carried out on several grounds, such as the tourist tax, used as a patch for budget holes in the culture sector. Such a constant groping shows no authority nor foresight: a vision with no legs to walk on, which concretely translates into unfulfilled possibilities, into lacking – if not forbidden – spaces for democracy.
A few days ago, twenty-two-year-old Emma Ruzzon, president of the council of students of the University of Padua, while giving a speech on the occasion of the 800th anniversary of her university in the presence of the President of the Republic Sergio Mattarella, said the following words: “I wonder how we can consider free a country which guarantees complete freedom only to some of its citizens. A country whose senators can take the liberty to publicly applaud the collapse of a bill [Zan] which, even minimally, aimed at protecting the right to life of people, of citizens, in a nation that keeps pretending not to see its deep-rooted transphobia, while having the highest murder rate of trans people in Europe”. Ruzzon’s speech clearly and forcefully shows how important and necessary is to keep working hard so as to correct and reduce the bias on the delicate topic of human rights: when they are not granted to everyone, they are but privileges. And our festival has been working in this direction for more than 10 years now, proving to be an indispensable tool of collective emancipation that needs to be carefully preserved.
This year, together with our audience, we are celebrating the tenth anniversary of our two sections of cinema history. Retrovie Italiane by Umberto Cantone will remember Pier Paolo Pasolini and Carlo Lizzani on the centenary of their birth. Carte postale à Serge Daney will celebrate the thirtieth anniversary of the death of the French critic. Among others, scholars such as Pierre Eugène and directors of the caliber of Mark Rappaport will participate, both distinguished authors for the magazine Trafic founded by Daney. In particular, we will dedicate to Rappaport the retrospective of the Presenze section.
To end with, we cannot fail to remember photographer Letizia Battaglia who was with us last year at her International Center of Photography for the opening of the Lovett/Codagnone exhibition, as she was a few years ago when Wolfgang Tillmans was awarded the Nino Gennaro Prize (which this year will be given to the American writer David Leavitt), and on many other occasions. Sadly, Letizia passed away last April 13th and will no longer be able to spend some time with us at the Cantieri. Still, she will always be in our hearts. What she did in her life, and of her life, has taught us that desperate vitality that never forgets, even at 87 of age, the urgency and need to change the world. Thank you, Letizia. No matter how rhetorical this may sound, rest assured we will never forget you.