5 giugno 2018, 17.00 / Goethe-Institut / sala Wenders
Dal 2011 il Sicilia Queer filmfest assegna ogni anno un riconoscimento a un artista o intellettuale che attraverso la propria opera abbia offerto contributi rilevanti al patrimonio instabile e in perenne autorevisione della cultura queer, all’emersione funzionale di una società delle differenze e all’affermazione dei diritti di ognuno. È intitolato a Nino Gennaro, poeta, attore, regista e autore teatrale, avanguardista senza sufficiente seguito di una modalità della militanza civile disagevole e poetica, di un’intellettualità eclettica programmaticamente disallineata. Nino Gennaro nasce a Corleone nel 1948. Si rende noto ai più per un’oratoria vivace e persuasiva e per una naturale riluttanza agli schemi autoritaristici, qualità che emergono nelle sue attività di agitatore culturale e politico entro i confini di una Corleone che, negli anni ’70, è descritta come imbrigliata in un pervasivo sistema di controllo/protezione/repressione sociale che si estende senza soluzione di continuità dai nuclei familiari alle organizzazioni mafiose, dalla chiesa alla scuola, dai partiti alle forze dell’ordine. Oltre a uno spontaneo interesse, Nino genera tra i suoi concittadini sospetto prima, poi avversione e infine violenta ripulsa. In quegli anni ottiene un piccolo finanziamento per l’apertura di un circolo della Federazione giovanile dei socialisti italiani a Corleone. Nino acquista libri, giornali e riviste – Famiglia Cristiana, Contro l’aborto di classe, Reich, Buttitta, i Beat americani... – su cui intavola discussioni collettive tra giovani e disoccupati alla scoperta delle ragioni di ogni punto di vista su fatti sociali e politici. Quando ciò non è sufficiente, ricorre a cineforum e sit-in di fronte alle scuole, con manifesti colorati autoprodotti, volantinaggi “a puntate” e altre acute strategie relazionali per penetrare decennali muri di diffidenza. Schiude così agli occhi dei giovani, educati all’immobilità del contingente, la prospettiva passata – e quindi potenzialmente futura – di una Corleone diversa, orgogliosa e combattiva: parla loro di Placido Rizzotto, segretario della Camera del lavoro di Corleone, tra gli oltre cinquanta sindacalisti uccisi nelle lotte contadine pochi decenni prima; oppure di Bernardino Verro, capo dei Fasci siciliani, sindaco del paese, ammazzato dalla mafia degli agrari nel 1915. Il desiderio, la volontà, l’immaginazione di un sovvertimento dell’esistente hanno ormai preso campo, e ben presto arrivano anche le contromisure da parte delle famiglie: divieti, segregazioni, roghi di libri, percosse e perfino esorcismi coatti. A farne le spese più di altri è Maria Di Carlo, diciassettenne infuocata da quei discorsi che lasciano intravedere finalmente la prospettiva di una liberazione sociale, sessuale e individuale, e che con Nino comincerà una malvista relazione. Dopo l’ennesimo sopruso sfociato in violenza da parte del padre, Maria prova a ricorrere inutilmente alle forze dell’ordine. La solidarietà di un’insegnante e le assemblee degli studenti destano l’interessamento del quotidiano «L’Ora», e costringono alla rottura di quel tacito patto solidale tra la Polizia e il notabile padre borghese. Il paese diventa per breve tempo il crocevia di dibattiti pubblici, tra gruppi di femministe e intellettuali venuti da Palermo. Ma i compagni di partito isolano Maria, ritenendo che non si tratti d’altro che di «ciarpame borghese di figlie che litigano con i padri», e molti vedono in Nino il responsabile di ogni disordine. Al conseguente processo, nell’isolamento generale, senza nessuno che si costituisca parte civile in loro favore, Maria e Nino sentono di essere i reali imputati. Nonostante tutto vincono. A costo, però, di un fattuale ostracismo da Corleone. Si trasferiscono insieme a Palermo nel ’77. Sono gli anni delle facoltà occupate, e la città accoglie con calore e solidarietà quel caso che aveva tenuto banco con straordinaria puntualità storica sui giornali locali. Conducono una vita scarna, pauperista, ma densa di stimoli. Nino Gennaro, che tra le mura urlanti di manifesti politici e murales di quegli anni affigge i suoi tazebao poetici su carta da imballaggio, viene coinvolto dalla rivista «Per approssimazione» di Flaccovio, sfociata anni dopo nelle edizioni Perap che pubblicheranno diversi suoi scritti. Tra questi, (in , con Nicola Di Maio, 1992), (in, con Elio Di Piazza, 1993), e, prestando lo pseudonimo “Nina”, (1995), dichiarazione amorosa di una ragazzina alla sua maestra rinvenuta in circostanze incerte in un quaderno scolastico. Con i componenti di quella gioiosa comune che va formandosi intorno a Nino nasce la compagnia Teatro Madre, che porta negli appartamenti degli amici suoi testi originali, con torce elettriche come luci di scena e registratori improvvisati per la musica, mischiando i Doors a Bach, Sex Pistols e Mario Merola. Sono vere performance in cui non c’è disgiunzione tra testo e corpo, tra vissuto e costruzione retorica: si mettono in scena la rabbia e la ribellione per quel “mondo dei padri” che li aveva espulsi e dalla cui dimensione affettiva tuttavia non era possibile prescindere. Si ritualizza la liberazione sessuale e lo scardinamento del dispositivo della famiglia come cellula di controllo e interesse, e si canta di un amore senza regole imposte, di un’omosessualità come esperienza di un desiderio indisciplinabile in grado di far deflagrare i paradigmi maschilisti alla base della cultura della mafia, dell’autoritarismo e del conformismo sociale. Il simbolo della compagnia sempre presente in scena è un cuore con una svastica iscritta. Il 1980 è l’anno dell’omicidio di Giarre: due ragazzi, Giorgio e Toni, nell’impossibilità di vivere apertamente la propria relazione omosessuale, chiedono di essere “suicidati” con due colpi di pistola dal nipote dodicenne di uno dei due. Il paese è al centro delle cronache nazionali, e l’opinione pubblica è costretta a considerare il problema della discriminazione omosessuale. Nino e la sua compagnia partecipano a quelle giornate, tramutando l’aperta ostilità di alcuni in accoglienza e fame di relazioni col mondo. Dal turbamento di quei giorni nasce a Palermo prima lo storico collettivo Fuori!, poi la prima Arci-gay, con il parroco dissidente don Marco Bisceglia insieme a Massimo Milani, Gino Campanella, Mario Blandi, Franco Lo Vecchio, Salvatore Scardina, Vincenzo Scimonelli, Mario Di Bella e altri. Infine, nel 1982, il primo congresso nazionale di Arci-gay e la prima Festa dell’orgoglio omosessuale alla villa Giulia. Nino resterà un riferimento centrale nella peculiare linea politica palermitana, che ancora oggi connette i diritti delle persone lgbtiq con l’universalità della lotta agli autoritarismi, ma conserverà anche in questo caso la propria alterità da ogni struttura. Abbandonata l’attività teatrale, il centro sociale di San Saverio all’Albergheria diventa centrale nelle attività civili a cui Nino partecipa: vi si svolgono cineforum e dibattiti, ma anche un importante esperimento sociale di bilancio partecipativo con la fondazione del Comitato cittadino di informazione e partecipazione. Nel 1987 Nino si ammala di AIDS, ma non viene meno al suo impegno intellettuale, continuando a scrivere testi teatrali, canzoni e opere varie. Riscopre una propria urgenza religiosa, stabilendo un sincretismo laico tra elementi cristiani, buddisti e induisti. Scrive febbrilmente, a mano, centinaia di libretti su piccoli blocchi che è solito regalare agli amici: sono i libretti e . Compila inoltre per anni album di appunti anarchici e spontanei in cui accumula fotografie, fotocopie, collage e strisce di photomatic manomesse. In essi la sua immagine non si decanta mai in un’icona, ma è materia fluida e multiforme, sconfessione di ogni prigione identitaria, ma anche reazione poetica e anarchica alle mutazioni del corpo imposte dalla malattia. Muore a Palermo nel 1995. Il funerale è celebrato laicamente, senza messa, a San Saverio, vicino al centro delle sue ultime attività civili, con la lettura di suoi testi scelti da parte di compagni e amici e le musiche che avevano accompagnato le esperienze teatrali.
Una divina di Palermo, La via del Sexo, O si è felici o si è complici sono alcuni tra i suoi spettacoli più noti, e continuano a essere interpretati in tutta Italia grazie all’impegno della compagnia di Massimo Verdastro. I suoi scritti sono pubblicati, oltre che da Perap, dalle Edizioni della Battaglia e da Editoria&Spettacolo (Teatro Madre, a cura di Massimo Verdastro, 2005).
Nel 2010 il comune di Corleone ha deciso di non intitolare un centro sociale a Nino Gennaro «perché gay e drogato». Nel 2011 il Sicilia Queer filmfest istituisce il premio Nino Gennaro.
Opera del ceramista palermitano Vincenzo Vizzari di Cittàcotte, la statuetta dal tono cinematografico, glam e popolare al contempo del premio Nino Gennaro nel corso degli anni è stata assegnata a Wieland Speck, creatore della sezione Panorama e del Teddy Award del Festival internazionale del Cinema di Berlino (2011); Eduardo Mendicutti, scrittore e giornalista spagnolo (2012); Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicanalista (2013); Ricci/Forte (Gianni Forte e Stefano Ricci), autori e registi teatrali (2014); Paul B. Preciado, filosofo spagnolo (2015); Cirque, Centro interuniversitario ricerca queer (2016); Lionel Soukaz, regista francese (2017). Nell’ottava edizione il Sicilia Queer filmfest assegna il premio al fotografo tedesco Wolfgang Tillmans.
Since 2011, the Sicilia Queer Filmfest assigns every year a prize to an artist or intellectual who, through his/her own work has offered significant contributions to the unstable and permanently under revision heritage of queer culture, as well as to the functional surfacing of a diverse society and to the promotion of everyone’s rights. It is named after Nino Gennaro, poet, actor, director and playwright, an off-the-wall avant-garde artist who embodied a disruptive and poetic social conscience, a misaligned and eclectic intellectuality. Nino Gennaro was born in Corleone in 1948. He becomes known for his lively and persuasive elocution and for his natural reluctance to authoritarian schemes; qualities that emerge through his activities as a cultural and political agitator operating within the borders of Corleone, a town that, in the ’70s, is described as being harnessed in a pervasive system of social control/protection/repression which extends seamlessly from the family units to the mafia organizations, from church to school, from political parties to law enforcements. Among his fellow citizens, in addition to their spontaneous interest, Nino gives rise to suspicions at first, then aversion and, lastly, violent rejection. In those years, he obtains a small loan for setting up a Socialist Youth Association in Corleone. With that little money Nino buys books, newspapers and magazines of all kinds – from the Catholic press to the most extreme publications, including works by Sicilian poets as well as Beat writers – upon which he engages collective discussions between young and unemployed people, in order to find out the reasons behind people’s views on social and political issues. Not content with it, he draws upon film clubs and sit-ins in front of the schools, with hand-colored manifestos, leafleting and sharp relational strategies developed to seep through the walls of distrust. He thus opens young people’s eyes, educated to the stagnation of the contingent, to the past – and therefore potentially future – perspective of a different Corleone, proud and combative: he tells them about Placido Rizzotto, secretary of the Corleone Chamber of Labour, among the over fifty trade unionists killed in peasants’ struggles a few decades earlier; or about Bernardino Verro, head of the Fasci Siciliani and town mayor, killed by the agrarian mafia in 1915. The longing, will and imagination of a subversion of the existing have by now taken place, and it soon elicits the reaction of the families: prohibitions, segregations, book burnings, beatings and even forced exorcisms. As a seventeen-year-old girl, roused by those speeches that let her glimpse at the possibility of a social, sexual and individual liberation, with whom Nino will start an unwelcomed relationship, Maria Di Carlo is the one who will pay the most. After another repressive reaction of her father, Maria tries in vain to seek help from the police. The solidarity shown by a professor and by the student assemblies catches the attention of the newspaper «L’Ora», causing the breakdown of that tacit agreement between the police and the notable bourgeois father. For a short while, the town becomes the crossroads of public debates among groups of feminists and intellectuals who comes from Palermo. But her leftist comrades, still aloof from libertarian issues, isolate Maria, since they believe that this is nothing more than «bourgeois junk, a private matter between daughters who quarrel with their fathers», while most of them hold Nino responsible for any disorder and, hence, they consider him as someone to avoid. In the ensuing process, in total isolation, Maria and Nino feel as if they were the actual defendants, and not the accusers. Despite everything, the trial ends with a conviction for injuries and abuse of educational methods. However, this leads to an actual ostracism against them. Consequently, they move together to Palermo in 1977. Those are the years of occupied faculties, and the city welcomes them warmly as their trial had been followed with an extraordinary historical punctuality on the newspapers. They lead a meagre, pauperistic but stimulating life. Nino – who puts up his poetic dazibao written in wrapping paper on the walls covered up with political manifestos and murals – starts working for the Flaccovio’s magazine «Per approssimazione», which years later will flow into the Edizioni Perap that will publish several of his writings. Among these, (in , con Nicola Di Maio, 1992), (in , con Elio Di Piazza, 1993) and, under the pseudonym of “Nina”, (1995), a girl’s declaration of love to her teacher, found under uncertain circumstances between the pages of a school notebook. With the members of that joyful commune, slowly forming around Nino, the Teatro Madre theatre company takes shape in order to bring his original texts inside his friends’ apartments, with the aid of flashlights as stage lights and croaking music recorders, blending The Doors with Bach, Sex Pistols with Mario Merola. This results in real performances in which there is no disjunction between text and body, life experiences and rhetorical construction: the anger and the rebellious attitude against that “world of fathers” who had expelled them and whose emotional dimension was impossible to disregard are constantly staged. Sexual liberation and the disruption of the family device are ritualized as a control cell, while a love devoid of imposed rules is praised, as well as homosexuality intended as the experience of an undisciplined desire that can destroy the sexist, male-dominated paradigms at the base of the mafia culture, of authoritarianism and social conformism. The ever-present onstage symbol of the company is a heart with a swastika inscribed. 1980 is the year of the murder of Giarre: two young men, Giorgio and Toni, unable to live openly their homosexual relationship, ask to a twelve-year-old boy – nephew of one of the two – to be executed with two gunshots. The town is constantly in the news and the public opinion is forced to consider the issue of homosexual discrimination. Nino and his company take part in demonstrations, transmuting the open hostility of some into warm reception and hunger for contacts with the outside world. From the turmoil of those days new organizations and experiences emerge in Palermo: the historic Collective Fuori!, the first Arcigay – with the help of the dissident priest Don Marco Bisceglia as well as of Massimo Milani, Gino Campanella, Mario Blandi, Franco Lo Vecchio, Salvatore Scardina, Vincenzo Scimonelli, Mario Di Bella and many others –, and then finally, in 1982, the first national Arcigay Convention and the first Homosexual Pride at Villa Giulia. Nino will remain a pivotal figure within the peculiar Palermitan political line, which, to this day, still relates the rights of LGBTIQ people to the universality of the struggle against authoritarianism, declaring its own otherness in relation to every system. Withdrawn from theatrical activities, the community centre of San Saverio all’Albergheria becomes central to the civil activities in which Nino takes part: film clubs and debates, but also a significant social experiment of participatory budgeting by dint of the newly formed Citizen’s Committee for information and participation. In 1987 he contracts AIDS, but his intellectual commitment isn’t diminished and he keeps on writing plays, songs and various works. And, throughout his works, elements of a secular and syncretic religiousness – which intertwine Christian, Buddhist and Hindu components – slowly come to light. He feverishly writes, by hand, hundreds of booklets on small blocks that he usually gives to his friends, such as the librettos and . For years he also gathers anarchic and spontaneous notes in which photographs, photocopies, collages and photomatic stripes are being altered. Through these works his image is never treated as an icon, but it remains fluid and manifold, the disavowal of every identity seen as a prison-like condition, as well as a poetic and anarchic reaction to the mutilations of the body caused by the disease. He dies in Palermo in 1995. The funeral is carried out secularly in San Saverio, near the centre of his last civil activities, with the reading of his texts, chosen by his friends and companions, and with a musical accompaniment somehow tied to his theatrical performances.
Una divina di Palermo, La via del Sexo, O si è felici o si è complici are some of his most famous plays that still continue to be performed all over Italy, thanks to the support of Massimo Verdastro’s company. His writings are published, other than Perap, by Edizioni della Battaglia and Editoria&Spettacolo (Teatro Madre, edited by Massimo Verdastro, 2005).
In 2010 the municipality of Corleone decides not to name after him a Community Centre «because he was a gay and a drug addict». Consequently, in 2011 the Sicilia Queer filmfest creates the Nino Gennaro Prize.
The Prize – made by the ceramic artist from Palermo Vincenzo Vizzari – is a statuette with a cinematic look, glamorous and popular at the same time; a prize that, over the years, has been assigned to Wieland Speck, creator of the Panorama section and of the Teddy Award of the Berlin International Film Festival (2011); Eduardo Mendicutti, Spanish writer and journalist (2012); Vittorio Lingiardi, psychiatrist and psychoanalyst (2013); Ricci/Forte (Gianni Forte and Stefano Ricci), authors and theatre directors (2014); Paul B. Preciado, Spanish philosopher (2015); CIRQUE, Interuniversity Centre for queer research (2016); Lionel Soukaz, French director (2017). For the eighth edition, the Sicilia Queer filmfest awards the prize to the German photographer Wolfgang Tillmans.
Wolfgang Tillmans
La sua fotografia è un laboratorio di definizione della disturbante ordinarietà degli immaginari a venirene. Erede illegittimo e deviante di quell'approccio concettuale che deriva dalla scuola di Dusseldorf, Wolfgang Tillmans ha saputo negli anni mettere profondamente in discussione i parametri secondo i quali leggiamo e classifichiamo le immagini e, attraverso di esse, le cose del mondo. La feroce manipolazione dell’esistente con giornali e fotocopiatrici, la ricerca di una sensualità fredda e disperata in temi e soggetti quotidiani afferenti alla gioventù degli anni novanta, ai gay pride, ai club e alla techno, gli atlanti spaziali e disarticolati della carriera matura in cui convivono nella stessa architettura formati, temi e trattamenti programmaticamente tra i più disomogenei e stridenti, fino alle fotografie di pura sintesi laboratoriale descrivono una parabola artistica in cui la multiforme ricerca intorno all’immagine è il pretesto per intervenire sui processi cognitivi attraverso i quali sviluppiamo categorie e gerarchie a supporto di una visione addomesticata della realtà. La «mancanza di stile come principio artistico» è la guida da seguire in un percorso di destrutturazione delle aree incancrenite dell’immaginario, più inclini a riconoscere totem e icone ricorrenti erette dalla società dei consumi che a esplorare le potenzialità dell’inesplorato. Tillmans cerca nelle pieghe dell’irrilevanza inaspettati e fragili momenti poetici, facendo del processo adottato uno strumento di critica politica a valori e gerarchie costituite, e ponendosi al vertice di un processo epocale di riuso e revisione degli atlanti messo in atto da artisti come Thomas Ruff, Joachim Schmidt, Ruth Van Beek, Corinne Vionnet, Adrien Missika o l’italiano Mario Cresci, tutti a vario titolo impegnati nella ricerca di un nuovo statuto di pregnanza per le immagini in un’iconosfera satura fino al collasso. Lo spirito sincretico, di confusione dei piani semantici, di giocosa e irriverente anarchia nei confronti della monumentalità delle icone fa di Tillmans un germanico e inatteso prosecutore degli espedienti poetici che lo stesso Nino Gennaro adottava in quaderni, componimenti visivi e tazebao. Entrambi, in diverse latitudini, proporzioni e contesti storici, sono fondamentali elaboratori di un immaginario queer.
His photographs are a theoretical workshop where the disquieting commonality of future scenarios is defined. Wrongful and deviant heir to the conceptual approach from the School of Düsseldorf, over the years Wolfgang Tillmans has deeply challenged the framework in which we read and classify images and, through them, the things of the world. The fierce manipulation of reality he performed with newspapers and photocopy machines; the quest for a cold and desperate sexuality in the exploration of the daily life of youths in the 1990s, of the gay pride, clubs, and techno music; the spatial atlases of his later years, where the most programmatically diverse and strident formats and themes come together; the lab synthesized-like photographs – all describe an artistic career where the manifold research questions are the excuse to elaborate on the cognitive processes in which we are engaged when we conceptualize categories and create hierarchies that support our partial view of reality. The «lack of style as an artistic principle» is the rule to follow in the process of deconstruction of a long-established imagination more inclined to identify the totems and icons of the consumeristic society than investigating the potential of the uncharted. In the recesses of irrelevance Tillmans seeks to capture the unexpected and fragile poetic moments, turning his technique in a tool of political critique of established values and hierarchies. In so doing, he places himself at the top of an epochal process of re-use and revision of the atlases enacted by artists such as Thomas Ruff, Joachim Schmidt, Ruth Van Beek, Corinne Vionnet, Adrien Missika, or the Italian Mario Cresci. In various capacities, they have all been engaged in the search for a new potency of images despite today’s iconosphere, overflowing to the point of collapse. The syncretistic spirit, of confusion of the semantic fields, of playful and irreverent anarchy towards the monumentality of icons makes Tillmans the German, unexpected follower of the poetic tricks that Nino Gennaro himself used in his notebooks, visual works, and dazibaos. Both Tillmans and Gennaro, although living at different latitudes, in different conditions and historical contexts, are fundamental creators of a queer imagination.